Io e Antonio ci siamo conosciuti in via Pastinelle, vivevamo in due case che si fronteggiavano, circondate da un muro alto che ci impediva di guardare fuori. Io, appena adolescente, lui piccolo, biondo e bellissimo.
Ogni gioco aveva quel grado di immediatezza della gioia assoluta e l’abbandono della vecchia abitazione fu un distacco doloroso per il nostro spirito infantile. Ci siamo ritrovati, il tempo non ha consumato il gusto per la sua compagnia e così, per istinto e compiacimento, torniamo, ogni tanto, idealmente in quella via ma ora sono io che faccio tante domande per una mia curiosità di lettrice. Si rivivono, attraverso i suoi scritti e le sue parole, le realtà vissute dalle generazioni dei secoli passati, si trasformano in racconti. L’attenzione alla verità storica muove Antonio con una minuziosa indagine, la sua morale è pulita e rigorosa. Le storie si tramandano, si conservano, muoiono e poi continuano a vivere perché custodiscono sempre qualcosa di non conosciuto.
(Pas Salluzzi)
A l’us’ andícu” – il libro che mi ha introdotto alla riscoperta della storia locale, per me, ha due elementi importanti, come disse il prof. Curcio:1) Alle tradizioni popolari bisogna accostarsi con rispetto, come ai documenti, per il linguaggio di quelle classi subalterne costrette al silenzio; esplorarle vuol dire restituire la voce a quei “muti” della storia attraverso l’interpretazione dei loro riti.2) Il dialetto diventa, nei libri di Tortorella, una identità storica e culturale. Il popolo non si vergogna del suo dialetto che continua a usare come emblema della sua libertà contro il dominio delle classi egemoni.
(Pas Salluzzi)
“A l’us’ andícu” – è il libro per chi vuole ricordare un’epoca in cui gli usi e i costumi erano vivi in ogni circostanza della vita (cit. dell’autore).
(Pas Salluzzi)
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